Dopo aver gettato scompiglio in qualche coacervo più in alto, nel bosco di larici e abeti, piomba verso valle anticipato dal suo inconfondibile canto il picchio nero della “Tassha”, accolto da famelici pulcini dagli occhi azzurri.
Pietro era un montanaro sulla quarantina, dalla corporatura snella, nerboruta, dal temperamento allegro e pronto alla battuta.
Viveva da qualche tempo, nel piccolo villaggio di Frenée; una sessantina di case abbarbicate all’indritto (solatio) della montagna. Dal fondovalle, appariva come mucchi di grigie pietre scistose incastonate da bruni portoni di larice e piccole finestre dalle inferiate arrugginite.
A valle delle case, prati e coltivi; alle spalle, come uno scialle, un erto bosco di abeti esteso sino alle pareti e alle creste, da dove con l’aria in discesa giungeva il profumo della resina e improvviso il canto del picchio nero.