Venni distrattamente a sapere della presenza di questo piccolo rapace anche tra i nostri boschi, circa trent’anni fa, leggendo il libro “Il Gran Bosco di Salbertrand” scritto da Mario Vaschetto e Riccardo Camusso.
Questo libro, che sul nascere della mia passione per la fotografia amavo particolarmente perché illustrava le caratteristiche delle specie presenti proprio sulle mie montagne e che avrei dovuto imparare a riprendere al meglio, raccontava fra l’altro della scomparsa di alcuni animali, ovvero non più avvistati all’interno dell’area protetta del Gran Bosco, e a proposito dei rapaci notturni raccontava:
… la civetta capogrosso e la civetta minore che, in questi ultimi trent’anni non vennero più segnalate e ciò depone ovviamente a favore della totale scomparsa se teniamo conto delle abitudini di vita e delle caratteristiche morfologiche di questi due strigidi. Anche all’osservatore meno attento non sarebbe infatti sfuggito l’avvistamento della minuta civetta minore (grande poco più di un passero) o della civetta capogrosso dalle abitudini anche diurne e con le dita coperte di piume fino alle unghie.
Mario Vaschetto e Riccardo Camusso - Il Gran Bosco di Salbertrand
Anche se, devo ammetterlo, il fascino emanato dai soggetti più elusivi e misteriosi ha sempre stimolato la mia intraprendenza e voglia di avventura, in quegli anni ero fin troppo impegnato a comprendere come riprendere un grosso ungulato piuttosto che perdermi dietro alle invisibili tracce di due piccole civette potenzialmente scomparse!
Ma, mentre io proseguivo il mio cammino fotografico, dimenticando completamente l’esistenza delle due piccole civette, inaspettati cambiamenti, primo fra tutti l’abbandono delle attività agricole sui nostri declivi, comportavano il sopraggiungere di condizioni più favorevoli al ritorno della fauna selvatica. Il bosco, sempre più slegato dalla sua valenza economica (ambiente ricco di legname dalla cui vendita si basavano gran parte delle economie montane), assumeva una forma molto più complessa soprattutto per i molteplici aspetti ambientali, faunistici e, perché no, turistici, che in esso dovevano convivere.
Cambiarono i metodi di pascolo, di coltivazione e di selezione delle piante da abbattere e i modi d’esbosco ed è emersa la necessità di salvaguardare tutte le entità biologiche presenti nell’ecosistema “bosco”, mirando a garantirne il completo riequilibrio.
Così, ad esempio, è stato ritenuto importante, ai fini della salvaguardia della biodiversità, lasciare che sempre più piante completassero il loro ciclo vitale nella foresta, e non come legna da ardere, per consentire agli abitanti “minori” del bosco, dagli uccelli ai micro mammiferi agli insetti alle muffe ai licheni e sino ai funghi, di utilizzarle e riattivare sempre più livelli energetici essenziali a un bosco sano.
Questo apparentemente semplice accorgimento ha prodotto subito un evidente risultato agli occhi dei più attenti: l’incremento delle coppie di picchio nero e conseguentemente della civetta capogrosso. Infatti, il picchio nero favorito dalla presenza di sempre più piante adatte alla realizzazione di cavità nido, ha espanso il proprio territorio ed è aumentato numericamente determinando la conseguente disponibilità di un numero sempre maggiore di cavità dismesse ma ricercate e necessarie proprio dalla civetta capogrosso cha ha così ritrovato le condizioni essenziali per la nidificazione e la sua ripresa demografica.
E che stupore di fronte alle prime fotografie di civetta capogrosso!
Bisogna ricordare che trent’anni fa, non era facile come oggi trovare fotografie di una qualsiasi specie e per la maggior parte della gente quelle prime immagini, magari in bianco e nero o un po’ sgranate, fornivano a tutti l’identikit di soggetti veramente mai visti anche se tutto sommato vicini di casa.
Poi è arrivata la civetta nana… O meglio, credo che in realtà lei non se ne fosse mai andata dalle belle peccete del Sarsaren o dalle cembrete dell’ Infernè, ma sia stato necessario un po’ più di tempo per comprendere dove e come ricercarla e scovarla. Questo aspetto, accompagnato dalle prime timide e confuse segnalazioni, ha messo in moto ricercatori, appassionati e fotografi che, anche grazie agli strumenti moderni, hanno potuto confermarne la presenza riportando un numero di osservazioni tale da andare ben oltre ogni più ottimistica stima.